Per gentile concessione dello Studio Todeschini

15. - Osservazioni sulla responsabilità medica d'équipe

 
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L'esperienza odierna assegna, all'attività medica svolta nella forma d'équipe, un ruolo del tutto peculiare, sotteso alla crescente specializzazione delle singole materie e alla costante necessità che, per i trattamenti sanitari, intervengano più specialisti in regime di collaborazione.

L'osservatorio della dottrina e della giurisprudenza su tale forma di esercizio della professione, appare ancora abbastanza limitato, nonostante i lavori più recenti [1]  comincino a dedicare ad essa spazi più ampi.

Il punto di partenza sul quale lavorare per inquadrare la materia è certamente rappresentato dall'individuazione, più o meno rigorosa, di un capo dell'équipe, che abbia il compito di sovrintendere  e coordinare il lavoro degli altri specialisti.

Se è indubbia l'esigenza di non contraddire il legittimo affidamento che il malato presta nei confronti della figura del primario, nel senso di aspettarsi dalla sua esperienza e capacità tecnica la supervisione dell'intervento, è  anche vero che al primario  -o comunque al capo équipe- non si possono attribuire sic et simpliciter responsabilità per ogni e qualsiasi evento dannoso che si verifichi in capo al malato.

Invero le sue indubbie funzioni di controllo e supervisione non possono prescindere dall'analisi della realtà pratica dell'attività operatoria d'équipe, nella quale gli specialisti che intervengono assumono diverse incombenze sotto la propria responsabilità, rispondendo con la loro professionale condotta dell'operato dei loro ausiliari. Intendo riferirmi all'anestesista, a titolo esemplificativo, che risponde della fase pre-operatoria inerente per l'appunto l'anestesia del malato e in questa sede deve sovrintendere anche all'operato degli infermieri professionali che, sotto la sua guida, devono compiere le attività ausiliarie di posizionamento del malato e di assistenza agli atti anestesiologici. Quando tale fase pre-operatoria si conclude con il trasferimento del malato in sala operatoria, il capo équipe non può certo ricontrollare da capo tutta la fase pre-operatoria già trascorsa, né sembra lecito imputargli comportamenti negligenti attribuibili alla condotta dell'anestesista che non si riferiscano ad evidenti situazioni di indiligente suo -del capo équipe- comportamento. In altre parole, se l'operando venisse per ipotesi trasportato in sala operatoria visibilmente ancora non sotto l'effetto dell'anestetico, ovvero posizionato chiaramente in modo poco corretto, il capo équipe  non potrebbe certo esimersi dall'attivare il suo potere-dovere di supervisione e correggere gli esiti verificabili ed evidenti della prestazione anestesiologica. Così come dovrebbe attivarsi nel caso di evidenti mancanze nella preparazione della strumentazione della quale dovrà poi servirsi, o se potesse avvedersi di eventuali condizioni di incapacità di alcuni suoi collaboratori.

In conclusione sembra opportuno riaffermare da un lato la funzione di coordinamento e supervisione del capo équipe, sia esso il primario o il chirurgo che in quel momento ne fa le veci, dall'altro non individuare nello stesso sanitario il centro d'imputazione di ogni e qualsiasi comportamento indiligente dei suoi collaboratori, nei limiti in cui tale condotta non possa obiettivamente essere ricondotta ad un suo mancato controllo, avuto riguardo alle condizioni peculiari del caso, di tempo e di luogo.

Il quadro si completa ove si ponga attenzione anche ad un altro principio al quale la dottrina fa riferimento, ossia quello di affidamento. Trattasi dell'affidamento legittimo che ciascun membro dell'équipe presta in riferimento alla diligente prestazione degli altri membri. Sembra imprescindibile la considerazione di tale dato di fatto, caratterizzante la condizione di reciproca collaborazione, anche sussistendo, come di fatto accade, un rapporto gerarchico all'interno dell'équipe medesima. Tuttavia l'anzidetto regime gerarchico non può essere assunto per giustificare la mancata attivazione, da parte del "sottoposto" ove si verifichino situazioni che facciano sorgere in lui il doveroso dubbio che la pratica operatoria posta in essere dal capo équipe sia errata, dovendosi in tali casi affermare la sussistenza in capo al "sottoposto" del dovere di far presente la sua posizione contraddittoria, ed eventualmente di rifiutare il prolungamento della propria prestazione, salvo, in caso contrario, l'obbligo di risponderne.

Infatti la professionalità di ciascun membro dell'équipe, pur diversificata in ragione delle acquisite competenze specialistiche, ricomprende nel suo corredo [2] , nozioni che possono essere valorizzate ed utilizzate anche per intervenire laddove la condotta di altro membro -sia esso di pari grado o gerarchicamente ad esso sovraordinato- risulti indiligente e potenzialmente dannosa.

Infine residua l'esame dei profili di responsabilità dell'équipe, per i quali soccorreranno le consuete regole della solidarietà.

Un profilo di potenziale complicanza è certamente quello relativo all'esatta configurazione della responsabilità dell'ente ospedaliero, sia essa diretta o indiretta e pertanto disciplinata dalle norme sulla responsabilità per fatto altrui ovvero su quella per fatto degli ausiliari. Nella pratica accadrà comunque che l'operato dei componenti l'équipe sarà sottoposto a giudizio di responsabilità chiamando anche in giudizio l'ente ospedaliero, a prescindere dall'esatta configurazione della sua responsabilità. Ma di tali implicazioni si occuperà il capitolo successivo al quale si fa rinvio.

[1]  E' certamente il caso de P. STANZIONE V. ZAMBRANO, Attività sanitaria e responsabilità civile, Il diritto privato oggi. Serie a cura di Paolo Cendon, Milano, 1998, 459 e segg. Il testo, ancora in corso di pubblicazione agli esiti del mio lavoro, mi è stato cortesemente messo a disposizione dal Prof. Cendon, che ringrazio sentitamente.

Tra gli altri: E. BELFIORE, Sulla responsabilita' colposa nell'ambito    dell'attivitamedico-chirurgica  in  équipe (nota  a  sent.  App. Bari  26  gennaio  1981, Lilli e altro), in Foro it., 1983, II, 167. V. PIRRONE , Responsabilita' dell'équipe chirurgica, in Giur. merito, 1990, 1141. M. ANTINOZZI, Riflessi  assicurativi della  responsabilita' del  lavoro in  équipe,  in Dir. e prat. assicur., 1982, 381.

[2]  Cfr. Pretura Genova 13 novembre 1991: QNel  caso  di morte  per arresto cardiaco di un bambino di nove anni,  verificatasi  nel  corso di un'operazione di appendicectomia eseguita da una  équipe medica ospedaliera, rispondono di omicidio colposo: a) l'anestesista per  aver omesso, durante la fase preparatoria dell'intervento, di intubare il paziente e di applicargli il monitor dell'elettrocardiogramma, in violazione di regole di condotta dettate da  precisi  codici deontologici  e dalla migliore letteratura medica con  riguardo agli interventi d'urgenza; b) il primario anestesista, intervenuto successivamente in via di ausilio,  per  aver fatto interrompere anzitempo  il massaggio cardiaco con una decisione frettolosa  e inconsulta,  quando  i segni del  decesso erano ancora dubbi; c) i tre chirurghi per aver omesso, constatatane la affrettata ed  inconsulta  desistenza, di sostituirsi ai due anestesisti non potendo  ignorare, alla stregua del necessario corredo professionale di ogni medico anche generico, che  la  pratica  rianimatoria del massaggio  cardiaco avrebbe  dovuto essere protratta per un tempo non inferiore alla mezz'ora ed essere accompagnata da idonea terapia farmacologica cardio-stimolante.f, Galliccia e altro, in Foro it., 1992, II, 586. Per un'analisi approfondita della sentenza in oggetto, si veda P. STANZIONE V. ZAMBRANO, op. cit., 483 e segg.
 

 

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Ultima modifica 17/03/03